Lo seguì, leggera come le farfalle a primavera. I suoi occhi si posavano ovunque: sulle lamiere bianche del traghetto, sulle scritte, sui passanti più strani.
Andò su per le scalette strette chiedendosi come mai facessero le persone ad usarle quando il mare era anche solo un poco mosso: erano strettissime e con una pendenza davvero impressionante.
Nel mentre, lo guardava salire per le scale quasi correndo: era davvero un bel ragazzo, anche se un po’ bassino aveva davvero un fisico atletico.
Si accinse ad andare dietro di lui e appoggiò per sbaglio la mano sul corrimano: il contatto con qualcosa di unto e appiccicaticcio la inorridì. Non era semplice salsedine come quella cui era abituata, era qualcosa di sporco, unto e solo infine salsedine. Tentò di non pensarci e finì di salire i due piani di rampe che si susseguivano in salita.
Egli l’attendeva sorridente alla fine e le porse la mano per invitarla ad uscire all’aperto.
Dafne si ricordò di nuovo di quella sensazione di sporco ed unto e ritrasse la mano istintivamente con una faccia quasi disgustata.
Si stupì di notare la delusione negli occhi di lui che puntualmente le chiese: “tutto a posto? Sembra che d’improvviso ti faccia ribrezzo il tuo insegnante d’italiano: se ti avvicini non ti mangio mica”.
Arrossì all’improvviso. “ Perdonami, ho toccato lo scorrimano e ho tutta la mano coperta di un non so cosa di sporco e grasso”. Sperò in fondo all’animo che le credesse davvero e che non suonasse come una scusa.
Egli sorrise come stesse assistendo alla marachella d’un bambino e tirò fuori dalla tasca una confezione di fazzoletti inumiditi e glielo porse.
“Mai viaggiare senza, se non vuoi sentirti un barbone… e si dice corrimano, non scorrimano. Per fortuna che insegno io a te e non viceversa sennò mi correggeresti ogni respiro”.
È incredibile: sapeva sorridere anche con gli occhi, con le mani, con la persona intera, come se vivesse solo per sorridere al mondo. Inoltre la faceva sentire sempre come una bambina, cosa che, all’alba dei suoi quasi trent’anni, era quanto meno rara.
Si pulì le mani, carezzando le dita lunghe, coccolandosele nel profumo. Non si era neppure accorta delle sue mani che le coprivano gli occhi delicatamente e pian piano la spingevano verso l’esterno.
Il profumo del mare la colse un istante prima che lui le cadesse quasi addosso, inciampando.
“Ecco, ti ho rovinato la sorpresa” le disse finché lei l’aiutava a rialzarsi.
“Che sorpresa?”
La prese per i fianchi, dolcemente, la guidò fino al parapetto e la girò: la Sicilia si ergeva ai loro occhi come un monte sospeso tra le acque, brulla e verde a tratti, illuminata dal sole dell’alba che si fermava sulla cime dell’Etna.
Il suo viso era attonito, respirava appena per la sorpresa, si vedeva ch’era felice: sembrava una bimba cui hanno appena regalato un cono gelato a tre gusti.
“Iniziano a piacermi queste lezioni d’italiano” disse con gli occhi che le brillavano.
“Ci credo: un’insegnante come me dove lo trovi?”
“in Italia! Che domande… Ma siete tutti così voi italiani?”
“no, solo quelli speciali sono così. Gli altri sono quasi così”
Risero insieme, ancora e ancora: ogni volta che si scambiavano idee, ogni volta che le spiegava qualcosa, ogni volta che i loro occhi s’incontravano, rideva. Le piaceva questa Italia: continuava a ridere.
Una volta arrivati scesero di nuovo nel vagone: il caldo li soffocò all’improvviso come un’ondata, unito ad un odore di stantio che colpiva il naso anche meno sensibile di Mario.“Sai già dove scendere? Hai chiesto al capotreno di indicarti la stazione?”. Era premuroso, come sempre. E come sempre la stupiva tanta generosità: in fondo nemmeno la conosceva.
mercoledì 11 giugno 2008
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