giovedì 5 giugno 2008

capitolo primo: il viaggio

Come avrete visto dall'etichetta questa è una storia, una neverending (= una specie di racconto a puntate in cui chi legge può commentare, suggerire e soprattutto dare spunti per come continuare il racconto).
Non ho avuto tempo nè di rivederlo nè di correggerlo causa esami: ve lo do così, come mi esce dalle mani, con tutti gli errori possibili di sintassi e ortografia. Siate gentili e datemi qualche tempo per le revisioni e correzioni prima di sparare a zero. In pratica non l'ho neppure riletto.
PS: il capitolo non è finito, manca ancora un pezzo, ma è ancora nella mia testolina e devo ancora scriverlo.
Per suggerimenti e co. sapete a chi rivolgervi.
BUONA LETTURA!!!




Guardava il mondo scorrere dal finestrino, veloce e ritmico, quasi sempre uguale: muro di cemento, piante scomposte, muro di cemento, qualche cittadina, paesucoli immersi nel caldo di un inizio estate che sembrava promettere meraviglie.All'improvviso apparvero le prime agavi, qualche fico d'india, ed il colore del sole iniziò a fiorire su limoni all'orizzonte. La sua mente si svegliò, iniziò a correre più veloce del treno caldo e afoso che la accompagnava, la opprimeva: corse alle foto che aveva ricevuto via mail di quel mondo che avrebbe incontrato di lì a poco, dove avrebbe trasferito la sua vita per almeno sei mesi; i mesi del sole, del caldo, nel paese in cui il caldo fa parte della terra, dei vulcani, del mare stesso.Guardò il suo valigione: forse era stata esagerata come sempre; ci sarebbe stata lei, tutta intera, in quella valigia, e forse sarebbe pure avanzato spazio. "Sarà la paura di abbandonare il mio mondo, di dimenticarlo, sarà che vivo nelle mie radici" pensò rapida guardandolo insoddisfatta "però per una che dovrebbe vivere in un sacco a pelo per sei mesi non è proprio il bagaglio adatto...".Tornò a guardare fuori, le colline si allontanavano lente, sorrette da montagne che ancora ospitavano i più popolosi branchi di lupi di tutta l'Italia. Non era difficile da credere in fondo: vedendo il sole fermarsi alla base di quei monti per lasciar spazio ad una foschia densa, quasi di nube, che le avvolgeva di una continua ombra decisamente inquietante. Le avevano raccontato che alcuni banditi, ancora nell’800, rapivano le persone importanti e le tenevano in qualche grotta o piccola casupola in quei monti. Le avevano spiegato che non era neppure immaginabile pensare di mettersi a cercare le persone rapite, non sarebbe mai stato possibile trovarle tra tutte quelle pietraie inarrivabili, senza nemmeno una mulattiera, tra gli arbusti che coprivano le colline come una foresta: era addirittura impossibile vedere il cielo. All'inizio non ci credeva: pensava fossero solo favole, come i suoi folletti della mezzanotte, o le storie di gnomi che rapivano le fanciulle al terzo starnuto, fiabe belle per insegnare le buone maniere ai bimbi, ma senza fonti di verità. In quel momento dovette ricredersi: nessuno qui lavorava di fantasia, tanto erano scure quelle montagne e quanto erano ombrose, fitte ed inquietanti le boscaglie, aggiungiamoci pure i lupi...Rabbrividì al pensiero. Forse l'Italia non era davvero tutta sole, mare e pizza. Si stupì di sé stessa: non aveva mai avuto paura di favole così, non aveva mai avuto i brividi da piccolina, quando le raccontavano favole di fantasmi o fiabe simili. Era stata sempre razionale, sempre dedita alla scienza, studiava le riviste scientifiche come un testo sacro. Ecco perché aveva scelto di fare il medico: amare il prossimo con la scienza, come con una religione. E poi non aveva mai neppure creduto al Dio cristiano che tanto li differenziava dagli inglesi, per lei non esisteva un Dio: era tanto semplice. Se in fondo avevano creato quelle religioni era puramente politica: in fondo capiva perchè non abbandonarsi ad un credo assoluto fosse un punto di forza, capiva perchè era più facile governare detenendo anche il potere religioso, anziché doversi sottomettere a quello di qualcun altro.
E ora? In Italia, le avevano detto, la Chiesa era parte civile e profonda della cultura, del popolo stesso. Le avevano anche spiegato che in realtà i praticanti erano in calo, ma che le persone anziane ascoltavano ancora ciò che diceva la Chiesa e che spesso c'erano discussioni politiche sull'intromissione del Papa negli affari del governo. Si preoccupò: davvero nei paesini il potere del popolo era ancora guidato dal prete? E che mai avrebbe detto un prete di un medico che dormiva in campagna in un sacco a pelo? Medico donna per di più…. Chissà se doveva mettersi il velo? Sorrise tra sé e sé: ma che mai stava pensando?!? Che fossero ancora ai tempi dei roghi delle streghe? “No, saranno solo stereotipi: in fondo ne giravano di simili sulla mia gente. Pensare che una volta mi hanno pure chiesto se credevo davvero ai folletti!!!”si disse ridendo. Eppure una volta sicuramente sarà stato così, in Italia come nel resto della vecchia Europa. In Irlanda per fortuna non succedeva più da tempo. A dire il vero, con tante tradizioni celtiche, non era mai successo davvero: è difficile scontrarsi con una cultura che è cresciuta e maturata nei secoli come quella celtica che risiede nel cuore d’ogni irlandese, anche di una Dubliner come lei.Si risvegliò dai suoi pensieri come da un sogno. Si stiracchiò lenta, sonnacchiosa come un micio dagli occhi verdi, appena allungati e socchiusi, profondi e sornioni.Tornò a sbirciare il mondo che le scorreva accanto: non scorreva più. Erano fermi. "chissà perchè?" si chiese preoccupata pensando ai famosi ritardi dei treni e dei servizi italiani. "mi sa che mi ci dovrò abituare" pensò sconsolata.Si stiracchiò un'altra volta, pigramente, stendendo le gambe lunghe, fino ad incrociare quelle del passeggero di fronte che iniziò a guardarla storto. In fondo non era colpa sua se gli scompartimenti erano così stretti e piccini, e neppure se non era stata in grado di fare così velocemente amicizia con i suoi compagni di viaggio. "Ho capito che sono irlandese ed ospitale, ma qui son tutti pazzi!!!! Parlate tra voi come se vi conosceste da una vita e foste amici da tempi immemori, invece avete passato insieme solo le ore di questo viaggio estenuante" pensò tra sé " e di sicuro se invece che le mie di gambe fossero state quelle del vicino con cui hai chiocciato tutta la notte non avresti fatto quella smorfia così schifata. E ora, nazionalista senza cuore, puoi anche toglierti quel ghigno di torno" Si alzò restituendo lo sguardo inceneritore dell'uomo e si allontanò verso il finestrino in corridoio.
Si sporse appena, quanto bastava per scoprire che il motivo della sosta era l’arrivo a Reggio Calabria: il cartello blu con il nome in bianco le sembrò quasi amico.
Mancava circa un’oretta di treno, dopo il traghetto, e sarebbe arrivata. All’agenzia erano stati chiarissimi: bisognava semplicemente avvisare il capotreno che si sarebbe scesi a Patti, ma stare attenti già dalla partenza a Messina e preparare i bagagli per scendere già alla fermata di Barcellona. “E pensare che credevo fosse in Spagna, Barcellona” sorrise tra sé e sé, pensando al momento in cui aveva letto la mail e credeva la stessero prendendo in giro. Lo ricordava bene: stava per rispondere tutta una serie d’insulti in risposta alla mail, chiedendo di riavere l’anticipo, minacciando cause e chissà cosa. Per fortuna la sua compagna di stanza le aveva posto il dubbio: magari c’era una città omonima, in fondo può succedere, e poi, la cartina del viaggio avrebbe dovuto guardarla in ogni caso. Si accorse che stava ancora tirando un respiro di sollievo ripensando a quando, con il cuore in gola e il terrore d’essere stata presa in giro, aveva trovato quel paesino sulla carta, vicino alla linea ferroviaria: un cerchietto puntato, come i paesi appena più grandi di quelli che a malapena venivano nominati.
Vide i pochi passeggeri che erano scesi risalire sul treno, dopo pochi minuti ripresero a muoversi. Era agitata: non aveva mai visto caricare un treno su un traghetto: le sembrava così strano, così nuovo. Guardò dal finestrino con attenzione tutte le manovre, andavano avanti e indietro di continuo, come se fosse difficile imboccare il binario nel traghetto. Ad un certo punto a fianco a lei si appoggiò un ragazzo, anch’egli curioso di vedere a che punto si era con l’imbarco. Si guardarono, un solo istante, gli occhi scuri, grandi e dolci del ragazzo fissarono i suoi, aperti e amichevoli. Dafne si accorse di sorridere spontaneamente a quello sguardo che sembrava tenderle una mano in quel viaggio verso l’ignoto e di trovare simpatico, così senza nessun motivo, quel ragazzo che non la squadrava come tutti gli altri.
“You speak english?” le chiese con fare quasi fraterno. “Mio Dio!!!!!! Si deve proprio vedere da subito che sono irlandese!”disse tra sé e sé. Poi si affrettò a rispondere “Yes I do, ma parlo anche italiano se ti va più comodo” con un sorridendogli con gli occhi verdi luminosi come smeraldo.
“Beh, sì, effettivamente non è che sappia molto l’inglese. Sembravi così spaesata: avrei tentato di farmi capire, almeno spero” chinò la testa quasi arrossendo con un sorriso timido.
“Quanto son dolci questi ragazzi italiani” pensò tra sé. “Sei gentile, grazie. Si vede tanto che sono straniera?”
“Sì, qui non girano molte ragazze rosse con gli occhi verdi, diciamo che non sei il tipico tipo di ragazza mediterranea, e neppure tedesca o polentona: quelle si tingono di biondo”
“Polentona?”
“Polentoni sono quelli che vengono dal nord: mangiano polenta”. Il ragazzo si mise a ridere: “In effetti tu parli l’italiano bene, ma questo non s’impara sui libri. Piacere, sono Mario: il Suo nuovo insegnante d’italiano parlato”
“Buongiorno, sono Dafne: la Sua studentessa straniera che non la pagherà un cent”
Mario la fulminò con lo sguardo, quasi offeso: “Perché mai dovremmo pensare ai soldi? Non ci ho neppure mai pensato: per me i soldi sono ciò che serve per mangiare e poco più. Ti prego non dirmelo mai più”
Si sentì in colpa, profondamente sbagliata. “Scusa, a quanto pare neanche questo s’impara sui libri”
“Perdonata solo se mi spieghi cosa guardi da mezz’ora così interessata”
“Sì, certo. Guardavo come mai continuiamo ad andare avanti e indietro come se non riuscissimo a parcheggiare il treno nel traghetto” gli rispose con uno sguardo grande ed innocente da bimba.
Mario si mise a ridere in maniera sincera, leggera: “In effetti smontare un treno per ‘parcheggiarlo’ su un treno non è semplice. Vedi: devi innanzitutto infilarlo nel traghetto per tre- quattro vagoni, a seconda di quanti ce ne stanno sul traghetto, poi devi staccare i vagoni, fare retromarcia fino al cambio di binario e metterti sul binario parallelo. Allora potrai tornare a spingere il treno nel vagone e così via. Devi considerare che ogni treno ha circa 15 vagoni e quindi questo lavoro deve essere fatto almeno 5 volte”
Dafne ci pensò: effettivamente non potevano di certo infilare un treno per il lungo nel traghetto!!
Gli sorrise: “grazie!! Io pensavo sbagliassero a centrare i binari!!!”
Si misero a ridere entrambi ripensando a quanto fosse in fondo infantile ma logica quell’idea.
Nel frattempo la lamiera del traghetto scorreva di fronte a loro: finalmente la carrozza era stata montata sulla nave. L’odore di salso e nafta li colpì all’improvviso. Si vede che Mario c’era abituato: non fece nemmeno una smorfia, non un cenno. Dafne invece si sentì colpita alle narici, profondamente e con un senso di nausea improvviso che la fece quasi indietreggiare.
“Se vuoi continuiamo la lezione d’italiano sul ponte, così ci togliamo da questo rumore e da questa puzza” propose Mario, accorgendosi che la pelle della sua vicina aveva perso il colore dorato e s’era improvvisamente sbiancata.
Ella si guardò intorno come a cercare il bagaglio: lo trovò lì dove l’aveva lasciato il giorno prima salendoin cima a quei minimi loculi delle cuccette italiane, stipati d’ogni sorta di borsa e borsetta.
“Non ti preoccupare: qui ci rimane Sergio, l’amico con cui sono sceso da Roma. Con lui qui non possono rubarti nulla”
Sorrise rassicurata: “Allora va bene, andiamo su questo ponte ma spiegami: se c’è il ponte per andare in Sicilia, perché i treni li montano sulla nave?”
Stavolta Mario si mise a ridere di gran gusto, fragorosamente. “Bella questa!! Allora è vero che esiste lo humor inglese!!”
Si sentì spaesata, non capiva nulla di questi italiani. Che aveva detto di tanto comico? A lei sembrava del tutto logico. Lo guardò, cercando nei suoi profondi occhi neri la risposta ai suoi perché.
Egli si fermò d’improvviso, colse lo sguardo e le rispose con uno sguardo altrettanto interrogativo. A quanto pare tra stranieri funziona così: ci si capisce meglio a sguardi, anche se uno dei due conosce la lingua.
“Ma dicevi sul serio? Chi t’ha insegnato l’italiano non è stato molto bravo. Vieni con me che ti faccio la seconda lezione” le prese delicato la mano e la guidò sicuro fuori dal vagone.

1 commento:

Maurizio A. M. ha detto...

Solo per dirti che l'ho letto.... :-)
Dovresti andare a capo più spesso: così diventa troppo difficile da leggere ed anche la dinamica del racconto ne acquisterebbe.