giovedì 4 dicembre 2008

doni natale

ti regalo le prime ore dell'alba,
dense d'aurora, futuri d'un tempo che giunge,
ora lento, ora veloce,
mentre t'abbraccio da lontano:
le mani legate nella paura
di provare emozioni che non so.

lunedì 1 dicembre 2008

aspettandoti

le forze abbandonano ogni pensiero,
ogni nuovo mondo sa d'inferno sconosciuto,
e mi manca il tuo sorriso nel risvegliare i sogni:
ogni momento mi è contrario,
cerco solo poche conferme,
un piccolo quadro tra i desideri d'una notte

giovedì 20 novembre 2008

omino del tempo finale 1

bene! Ho finito di lavare e pulire tutto, è tutto sistemato ed in ordine: nessuno può sospettare di qualcosa: non si nota la minima differenza rispetto a prima.
Sono davvero soddisfatta: non una macchia di sangue, non un segno di questa lunga notte.
Solo l'omino del tempo che rimbalza e rimbomba nella mia testa insieme ad un indefinito senso di colpa...
Perchè mai dovrei sentirmi in colpa? sono sempre stata la classica ragazza perfetta, mi sono sempre trattenuta, mai un accesso di rabbia, mai una follia: per una volta ho seguito il mio istinto, la mia brutalità, e l'ho sfogata. Dopo la maledetta giornata di ieri, la frustrazione, la rabbia, il senso d'impotenza: avevo bisogno di sfogarmi, ero pericolosa. In fondo ho solo fatto avverare un mio desiderio, uno solo in tutta una vita: non è tanto.
Finalmente mi posso concedere un poco di riposo, sono solo le 3 e prima delle 15 i miei non torneranno a casa. Le mie ultime 12 ore di pace, di solitudine e soddisfazione, e, per una volta, di sonni tranquilli.
Un campanello troppo squillante, dal volume assordante, mi riporta alla realtà. Perchè i citofoni fanno così tanto rumore? Perchè suonano quando dormo? Quasi, quasi scendo così come sono, tanto dormo in tuta.
Ma chi può essere? Che ore sono? Io dormivo, accidenti! Guardo l'orologio attraverso la fessura delle palbebre ancora addormentate: ora di pranzo. Ma chi sarà mai? I miei di sicuro no, non arrivano prima di un paio d'ore.
Dal video del citofono mi appare la faccia di un uomo, avrà quarant'anni, non di più.
Chissà chi è: sembra una faccia pulita, ma non mi fido.
“sì?”
“Buongiorno, sono Pietro Morari della Polizia, dovrei parlarle”
“'ngiorno, arrivo.”
Non mi fido, quasi quasi apro solo il cancello grande.
Entra in maniera educata, rispettosa: appoggia il cancello, non lo sbatte. Mi guarda e sorride: avrà capito che non mi fido.
“Buongiorno, posso esserle utile?”
Mi porge una specie di tesserina: la sua foto, un volto imbarazzato e instupidito da una posa innaturale, fermo a parecchi anni in meno e capelli in più.
Lo faccio entrare, mi son sempre stati simpatici i poliziotti, chissà perchè.
“Posso offrirle un caffè?”
“No, grazie. Dovrei solo chiederle un paio di cose.”
“Prego, mi dica. Se posso esserle utile...”
Mi porge una fotocopia stropicciata e sgualcita di una foto. Il foglio è ridotto male ma mi basta per riconoscere gli occhi scuri, quasi senza fondo, e la barba millenaria dell'omino del tempo.
“Lo conosce?”
“Ci siamo incontrati un paio di volte. Passava qui davanti per andare a casa. Non so molto altro di lui però: non so nemmeno il suo nome.”
“Si chiama Fabrizio Tempo, non ha una casa, tantomeno qui vicino”
Un brivido mi percorre la schiena: niente casa? e quindi? perchè mi seguiva tra le vigne?
“Ma guardi, son sicura: me l'ha detto lui l'altro giorno. Ha detto di abitare qui vicino, a circa venti minuti passando dalle vigne”
“è stato trovato un completo grigio in un casolare qui vicino, questo lo spiegherebbe. Lo sanno esaminando.”
“Ma perchè? Gli è successo qualcosa di male?”
“più che altro ha fatto succedere qualcosa”
“mi scusi?”
“ha capito bene. Da quanto mi risulta lei conosce anche il professore Xxx Xxx.”
“Sì, è un mio docente, devo dare un esame con lui.”
“Ridare.”
E tu che ne sai? c'era bisogno di girare il coltello nella piaga?
Ah, sì, giusto, sei un poliziotto. è il tuo mestiere. Perdonato.
“Sì, non vedo la differenza.”
“Beh, non lo darà più con lui”
“ Scusi? Non capisco”
“Abbiamo fermato stamattina il suo amico, Fabrizio Tempo, mentre lo stava letteralmente macellando”
Un brivido, freddo, tra le scapole e una fitta, profonda feroce allo stomaco. Il respiro si blocca, il poliziotto mi sembra sempre più lontano, la sua voce non la sento neppure più.
Mi riprendo e mi trovo stesa sul selciato, il mio cane che mi siede accanto e ringhia al poliziotto. Mi alzo appena con la testa, ma mi sembra pesantissima. Tento di capire.
Il cane mi vede sveglia e si tranquillizza, la mando seduta in cuccia. Obbedisce, fedele ma guardinga. Pietro si avvicina, mi porge un poco d'acqua.
“Il suo cane la difende benissimo”
“Il mio cane è l'unico su cui posso contare.”
Bevo. Appena ho buttato giù un sorso mi mette una foto sotto al naso: una parete macchiata di schizzi di sangue, una manata al centro, sopra una macchia a cono che finisce in una pozza sul pavimento.
Uguale identica alla mia taverna stanotte.
Non riesco nemmeno a girarmi. Pietro mi prende appena in tempo perchè non sbatta la testa. Il cane questa volta non si muove. Ora si fida.
Non perdo conoscenza stavolta.
“Mi aiuterebbe ad entrare in casa?”
“Sì, credo che sia meglio. Non mi azzanna vero?”
“No, di solito mangia solo bambini.” Sorrido, ma sono stanca. Alzarsi è una fatica senza pari: mi sembra di pesare come una montagna.
“Si sente meglio?”
“Sì, finchè non mi ricorda che la persona che mi seguiva nelle vigne è in realtà un macellaio d'uomini”
“No, non si preoccupi. Mi basta sapere quando l'ha visto l'ultima volta.”
“Questa notte, verso le 1.30. Stavo portando fuori il cane”
“Bene, mi basta così: diceva che lei aveva molte spiegazioni per l'accaduto.”
“Non capisco cosa vuol dire.”
“Nulla, credevo avesse lei come alibi, ma l'omicidio è avvenuto alle 3 e noi l'abbiamo preso alle 5. Lei l'ha visto prima che facesse questo scempio. Non ha null'altro da dirmi?”
“A parte il fatto che il professore Xxx Xxx mi aveva bocciato due giorni fa?”
“Questo lo so già, grazie. Ma ho già chiesto in giro e pare che lei sia solo l'ultima di una lunga serie.”
“E che l'assassino mi seguiva nelle vigne?”
“Anche questa è una cosa abbastanza comune: aveva già un paio di denunce per tentata molestia. In realtà in tutti i casi si è scoperto che gli piacevano i cani, non le padrone”
“Non so cos'altro dirle”
“Magari il suo numero di telefono?” ha un bel sorriso finchè lo dice: sarebbe un bel viso da ritrarre.
“Sì, glielo lascio volentieri.”
Mi lascia finalmente dormire.
Mi sveglio nel momento in cui mia madre apre il portone d'ingresso.
“Ciao”
“Come è andato il week end in Piemonte?”
“Bene bene! Abbiamo preso un sacco di vino... Se mi aiuti a mettere le bottiglie in cantina ti racconto”
Ma perchè proprio in cantina?
Speriamo la tinta si sia asciugata...
Ci avviciniamo agli scaffali, un po' l'odore di pittura si sente ancora.
“Hai dipinto finchè eravamo via?”
“No, no. Ho solo fatto un po' di miscele nuove di colori.”
“E con che ingrediente strano li hai fatti stavolta? erbe? oro? uovo?”
“Niente di speciale”
Sapessi mamma: è sangue.

martedì 18 novembre 2008

omino del tempo 5

Sono distrutta, di una stanchezza quasi inumana, ma ho iniziato questo lavoro e devo costringermi a finirlo: diventa una questione di autostima, di orgoglio personale. Devo per una volta seguire i miei desideri e arrivarci in fondo. Ho passato una giornata intera a dire vorrei e ora posso: basta finire il lavoro, dai , ce la posso fare.
Se non altro perchè ho sporcato dappertutto: tutta questa carne gocciola, accidenti! Mi sto quasi pentendo di quello che ho appena fatto: ho le mani ancora sporche di sangue e mi viene la nausea a pensare che tutta questo era vivo, fino a ieri. Mi sento un'assassina, in colpa con me stessa e arrabbiata con il destino.
E poi fare questo lavoro di notte, di nascosto perchè non mi vedano, non mi piace. Dovrò pulire tutta la notte e l'idea di lavare il rosso del sangue dalle pareti non m'ispira proprio per niente. Chissà come si pulisce poi...
Mi sa che mi conviene dargli una mano di bianco, in fondo in 12 ore si asciuga. Ne ho quasi 15 prima che tornino i miei dalle vacanze, 15 ore per rendere la casa normale, la mia persona insospettabile.
Le fiamme del camino non sono rassicuranti in una villa come la mia la sera, specie quando si è da soli e con un cadavere in mano. Sarà che il cane guaisce, ma quasi quasi mi faccio un giro per campi. E poi è passata l'una: il pazzo omino del tempo stavolta non può vedermi.
Quasi quasi esco così, sudata e con la canotta sporca di sangue: sarà anche un rischio, ma di un faccino come il mio non pensa mai male nessuno.
Tanto l'unico pazzo nei dintorni è proprio lui, nessun altro esce a quest'ora.

Non faccio neppure tempo ad uscire dal cancello che me lo trovo davanti, impettito e con lo sguardo accigliato.
Ma che fa? M'aspetta al varco ora? E non posso neppure scappare! come faccio a tornare indetro ora?

"Buonasera" mi saluta come se fosse normale vedere una persona uscire di casa sporca e bagnata di rosso.... Io non mi sento nella norma, ma nemmeno lui ci scherza.
" 'sera" taglio corto e tento di svicolare, magari c'è buio e non mi ha vista.
"Lei scappa tutte le sere? Cosa mi nasconde questa volta?"
Che diamine vuoi che ti nasconda! Me lo chiedi anche? Mi hai vista benissimo che sono sporca di sangue e che sto tremando perchè mi fai paura, e me lo chiedi ancora?!?!?
"Beh, non mi sono cambiata prima di uscire e mi vergogno un po' "
Tagliamo, poche spiegazioni e via, non ti voglio vedere per più del tempo necessario alla mia fuga: da te, dal passato, da tutto.
"Mi spiace che le dia disturbo il mio averla aspettata"
"Non si preoccupi, è solo una sorpresa"
"Ha ragione è sconveniente, ma vede sono venuto per un motivo ben preciso: innanzitutto volevo essere carino con lei che mi ha aspettato sulla strada di casa ieri..."
Carino un corno! Lo sai benissimo che non ti aspettavo! E poi dicono che i vecchi non son sadici...
"... e poi volevo farle vedere questo"
Si gira e tira fuori dal mantello un giornale: in prima pagina campeggia il titolo "professore universitario ammazzato a coltellate".
Prendo paura: la foto che è giusto sotto rappresenta una parete, colma di sangue, sporca come se qualcuno si fosse messo a lavorare giusto lì in fianco, un paio d'impronte di mani sovrastano la macchia a spruzzo, che poco più in basso lascia il posto ad una macchia uniforme che si allarga verso il basso per terminare in una pozza a livello del pavimento.
Sembra tremendamente il pezzo di muro che ho sporcato giù, ci somiglia in maniera impressionante.
"Signorina, si sente bene?"
"Sì, sì. Chi hanno ucciso?"
"Come non lo immagina?"
E perchè mai dovrei immaginarmi qualcosa del genere? Inorridisco solo all'idea che qualcuno possa piangere, figuriamoci pensare ad un omicidio.
"No, sinceramente certe cose sono ben lungi dai miei pensieri"
"Il morto è il suo professore, Xxx Xxx. Ricorda? Me ne ha parlato giusto ieri..."
Non capisco più niente, non vedo più niente, le orecchie mi ronzano e la sua voce è lontana: se non mi riprendo ho meno di 10 secondi prima di svenire e non posso, non devo perdere i sensi.
, forza, coraggio, posso farcela: sarei da sola, niente difese, niente fuga, inerme con lui.
Panico.
Tachicardia.
Il respiro si fa sempre più profondo e difficile, ma l'aria c'è: ci vedo, sono in piedi, sono cosciente.
"Le ho detto solo il suo nome, non ho detto nient'altro. Mi spiace che sia morto"
Ora però mi sento svuotata: non ho più forze, devo andarmene. Ora. Subito.
"davvero? è per questo che fugge coperta di sangue?"
La paura, la rabbia, la vergogna si fondono e formano una cosa sola. Un respiro. Mille pensieri. Una risposta: glaciale e distaccata.
"Nessuno le ha detto che questo sia sangue. Sono uscita per prendere aria, è mio diritto e non è un mio dovere dover sempre rispondere alle sue fastidiose quanto infondate insinuazioni"
Perfetta. Stronza al punto giusto. Glaciale e formale: ferma e decisa. Fatto.
"Giusto. Non è a me che deve rispondere"
A nessuno se è per questo. Non ho fatto nulla di cui mi stia pentendo.
Ora ti lascio ai tuoi pensieri maligni e perversi, e me ne vado a pulire il lago di sangue che ho lasciato giù, come una brava donnina di casa.
"Con questo le auguro buonanotte e vado a finire un paio di faccende"
"La lascio alla sua lunga notte. Si ricordi solamente questo: non mi vedrà più, ma sarò un ospite fisso dei suoi pensieri e dei suoi incubi, fraterno alleato della sua coscienza"

Mi fa paura: è sadico, intelligente e informato. Troppo di ogni caratteristica: è pericoloso.

mercoledì 22 ottobre 2008

omino del tempo 4 lungo

Sono stanca, sono nervosa, tremo. Questa volta non resisto, non ho già resistito. Sto impazzendo e non riesco a fermarmi.
Mi vedo e rivedo la scena: mi guardava, sicuro di essere Dio in terra e mi continuava a dire di no, che quello che dicevo era sbagliato, che non era detto bene. Odio quel dannato sguardo. E odio quella parola: "no".
Ma no che cosa? "No" è una risposta ad una domanda, una negazione motivata di un argomento di discussione comune, non una parola da dire a caso dopo non avermi neppure ascoltata. Vorrei, vorrei, vorrei,... non so nemmeno cosa vorrei: sono talmente furiosa, pazza furiosa, che se ce l'avessi tra le mani non riuscirei neppure a dargliene, tanta è la rabbia.
Devo sfogarmi, e non ne ho modo, accidenti!
Vorrei piangere ed urlare, ma non si fa: è da pazzi.
Vorrei andare a tagliargli le gomme, rubargli le chiavi di casa e incollargliele alla porta blindata, vorrei vederlo chiedere scusa. Scusa sinceramente, vedere che gli spiace essere così profondamente insensibile. Purtroppo so che non succederà mai. E passi per le i primi vorrei, ma per l'ultimo provo davvero un'irritazione tale che vorrei rompere tutto. E tutti.
I miei pensieri vagano mentre le mie mani coccolano il muso morbido e peloso del mio cucciolo, che mi guarda innocente ed ignaro, amante e fedele. Dal suo calore riesco a trarre quella dolcezza e calma che mi permette di avere ancora una stanza ordinata e i libri interi.
Lo strapperei quel dannato libretto, lo tirerei tra le mani fino a rompere ogni fibra di carta, lo brucerei qui, seduta stante. Invece i suoi occhioni mi guardano e tremano, mi squadrano finché tremo dalla rabbia e mi trattengo: trattengo ogni cosa, solo perché lui è qui.
Guardo la strada, come sempre. Guardo il mio lampione, accendersi e spegnersi come i miei pensieri.
Abbandono la vista alla campagna, all'orizzonte scuro della notte.
Quasi quasi esco, il cane con me, prendo aria, espando i polmoni e mi scarico da questo senso di costrizione che mi porta all'orlo della pazzia.
Appena sono in strada lo vedo arrivare, come sempre puntuale. In completo e col bastone.
Ma oggi no, niente omino del tempo: non sono in condizione.
M'incammino spedita e m'inoltro nelle vigne, pregando che non m'abbia vista, mi nascondo tra le foglie di vite che sussurrano secche al vento.

Sento dei passi veloci dietro di me, spostano le foglie, corrono quasi.
Non può essere lui: è lento, ha pure il bastone. Però è anche pazzo: solo uno fuori di testa verrebbe all'una di notte nei campi.

OdT: "buonasera signorina!"
Diamine!! allora sì, è certo: è un pazzo furioso.
Mi giro, lo guardo incredula e frastornata.
Alza il bastone, mi saluta col capo.
G: "Buonasera"
Mi giro e proseguo lungo il filare.
OdT: "perchè tenta di scappare dal tempo?"
G: "scusi?"
OdT: "lei sta scappando, non da me di certo, di me non ha paura."
Questo lo dici tu, caro il mio vecchietto.
Continuo a guardarlo incredula e frastornata.
OdT: " lei è sconvolta, sta scappando nel buio sperando che questo faccia passare più velocemente il tempo che le serve per smaltire quello che le è successo"
ma tu che ne sai? e poi, che te ne frega?
G: "sarà un'impressione: ho solo voglia di stare un po' da sola a prendere aria. Capita"
OdT: "ha gli occhi gonfi come se dovesse piangere, ha le mani che tremano e sta tentando ancora di scappare, di non affrontare nessuna conversazione"
G: "mi scusi se le sembro maleducata, ma non crede anche lei che una persona normale non racconti i fatti propri ad un perfetto sconosciuto?"
OdT: "certo, ma due persone normali non si scrutano all'una di notte e non se ne vanno tra le vigne"
G: "il cane ha bisogno di terra, non ho chiesto a nessuno di venirmi a cercare, nemmeno a lei"
Sarò scortese ma ha iniziato lui.
OdT: "è vero: non mi ha chiesto nulla. E' venuta direttamente a cercarmi"
Ora ho trovato con chi infuriarmi, in fondo questo vecchietto impiccione e superbo è quasi quasi un imprevisto utile.
G: " mi scusi? non ho mai inseguito nemeno gli uomini e dovrei iniziare da lei? ma per chi mi ha preso?"
OdT: "Ieri sera è scesa a salutarmi e oggi si sta incaminando sulla strada che faccio di norma per andare a casa"
G: "cosa scusi?"
OdT: "questa strada, in fondo ai prossimi filari, porta a casa mia, poco vicino al guado. Saranno sì e no 15 minuti di strada"
Accipicchia, ha ragione! La sera poi s'incamminava sempre per le vigne, e io che ci sono andata per abitudine a portare il cane a fare i bisogni.
Non ha comunque vinto lui: non lo seguivo. Punto. Scappavo, solo su questo ha ragione.
Scappavo da me stesa.
G: "Non ci avevo pensato. Son qui per abitudine."
OdT: "All'una di notte..."
G: " Avevo bisogno di aria. Finito l'interrogatorio?"
OdT: "E' da un pezzo che non faccio più io le domande. E' lei che le pone. A sè stessa per di più"
Già stasera sono acida, mi mancava giusto il mezzo psicologo per farmi impazzire del tutto.
G: "Guardi, tolgo il disturbo così siamo a posto."
OdT: "Va bene, mi dica solo chi è"
G: "Un professore"
OdT: "Il nome"
e' anche perentorio nelle richieste, il signorino.
G: "XXX XXX. E ora?"
OdT: "E ora buonanotte, a domani."
G: "Arrivederci"


A me fa paura. Non è normale e sa troppe cose. Non so come, ma ne sa davvero pericolosamente troppe.

Spero non a domani, lo spero proprio, omino del tempo.

domenica 21 settembre 2008

l'omino del tempo 3

Eccolo laggiù, in fondo in fondo.
Stavolta sono uscita apposta per lui, vestita da casa, così come sono, ma dovevo vederlo.
Accidenti! non lo vedo più. Dannato lampione che si spegne e riaccende nei momenti meno opportuni...

Starà arrivando, conto i minuti. Di solito è puntualissimo: sarà per questo che "omino del tempo" pare gli calzi a pennello. Però, cammina lento l'omino.
E poi oggi sono pure scesa giù, stavolta ci squadriamo da vicino, sempre che ci si veda, ovvio.
Si è riacceso il lampione, alleluja!

Potevo portarmi una sigaretta, almeno non avrebbe capito che son qui per lui. E ora? Ti pare normale una ragazza che scende da camera sua, dalla scrivania dove studia solo per squadrarsi con 'sto tipo qui?
A quest'ora poi... e con l'esame domani.
E che penserà lui? Magari crede che son pazza. Beh, tanto normale non è neppure lui a girare da solo per strada. A quell'età poi.
Almeno io sono a casa mia.

Fuori. Al freddo. In giardino. Ma a casa mia.

Qualcosa di freddo mi sta toccando la mano, non capisco cosa. Sobbalzo e retraggo la mano. Di nuovo buio, non si vede nulla, dannato lampione!
Mi spaventa questa situazione.
Allungo la mano pian piano. Uno sbuffo. E' il cane.
Ma si può? Passati i vent'anni aver fifa così? Per cosa poi? Per un po' di buio ed un vecchietto, che peraltro sono io a voler conoscere.
Mah, mi abbasso a coccolare il cane, almeno così mi scaldo un poco le mani.
Ha il pelo ritto, la coda bassa, gli occhi vigili: non vuole coccole, è come se fosse preoccupata.
Sarà che non capisce perchè sto qui.
Sapessi io, cara mia....

E' arrivato.
Si ferma.
Mi alzo, lo guardo.
Mi squadra.
Sorrido, non so far altro.
Il cane ringhia.
Lui non bada nè a me nè al cane, semplicemente ha lo sguardo su di noi ma è come se vedesse oltre.

G: "Buonasera". Sarà anche un saluto timido e scontato, ma in fondo io sono a casa mia.
Territorio mio.

OdT: "Buonasera" risponde. E' cortese ed educato. E' in strada, la sua strada.
Territorio suo.

Continuiamo a controllarci, lo sguardo quasi di sfida.
Il mio ormai è un ghigno teso.
Un sorriso sicuro il suo.

OdT: "Lei non dorme?" Sfacciato! Non dormo no! Studio, non l'hai visto? E poi non sono mica affari tuoi! Inizia a starmi meno simpatico.

G: "Nemmeno Lei" Stavolta ho il coraggio di rispondergli. Inizio a sentire pure più caldo.

OdT: "Già, già" mi fa meditabondo.

Ha gli occhi scuri mentre mi guarda: non sono neri, sono scuri, infiniti come la notte. Fanno paura occhi grandi così scuri. Sarà che il cane ringhia ancora.

G: "Torno sù, arrivederci". Non ho motivo per rimanere un minuto di più a scrutarti e rabbrividire.

OdT: "Andiamo a dormire, forse è meglio". Lla voce, profonda, calma e bonaria.
Ma andiamo a dormire chi? Io oppure tu? Ma ti pare modo? 5 minuti per una frase e non farti capire un accidenti?

G: "Arrivederci, buonanotte" Vai a dormire, va', che è meglio. Diablo! Ha lo sguardo torvo: mi sa che m'ha letto nel pensiero questo. O sarò stata acida, come al solito.

OdT: "Buonanotte per entrambi, fanciulla"
Eh? Buonanotte per chi? E fanciulla poi? A me?!? Ma se manco mi conosci!
Cortese sì, ma un pelino impiccione.

A domani canuto omino del tempo. Impiccione.

l'omino del tempo2

Come sempre lui è lì, puntuale. Mi scruta, e va via.
Mi ha pure sorriso oggi.
Più passano i giorni più sembra essermi vicino, conoscermi.
Il cane sembra più quieto, oggi è rimasto a dormire finch'egli passava. Per la prima volta. Così, a fiuto, mi fido dei cani.
Magari potrei sorridergli io per prima, sarebbe carino. Sembro ebete a guardare nel vuoto ridendo, ma sarebbe davvero carino.
Anzi, quasi quasi domani lo saluto.

sabato 20 settembre 2008

l'omino del tempo

Studio guardando dalla finestra una deserta strada di campagna dove le macchine corrono sfrecciando come fossero a Monza, i trattori passano con i loro rimorchi d'uva da mosto e i fumi neri dai tradizionali scarichi verticali. Se non fosse per il silenzio, quasi infinito, crederei d'essere in un film.
Saluto i vicini al loro rientro: vedo le loro facce cupe o i visi tirati, vedo i sorrisi stendersi in un saluto talvolta solare, talora frettoloso.
Sbircio le bici passare, i bambini in corsa tra i richiami preoccupati delle madri, i ciclisti in gruppi vocianti, gli amici scherzosi e disordinati.
Guardo il mondo da uno scorcio di paradiso, in cui il tempo corre e culla ogni evento con la sua andatura continua.
L'ho notato solo un mese fa, tra ematocrito ed uricemia: passa, si ferma a guardare e va via.
Ogni giorno, verso l' una, i nostri sguardi s'incrociano, veloci e malfidenti. Controlliamo la situazione, ognuno il proprio territorio. Un istante per far incrociare i nostri mondi ed esser sicuri che il tempo non abbia cambiato percorso.
Basso, canuto ed occhi fissi, in contrasto con il tremore continuo del corpo.
Il cane non si spaventa, ma non tenta d'avvicinarlo. Mai.
Da un paio di giorni ritarda il suo passo e si ferma più a lungo sotto di me.
Un giorno credo che gli darò un nome, inizia a starmi simpatico: lo chiamerò "l'omino del tempo", come il mio grillo parlante personale.

Solo che non parla: guarda e va.

mercoledì 10 settembre 2008

Piove sul bagnato

G: "tra un po' piove: porto fuori il cane"
A: "uhm"
vado, esco e torno.
G: "mi sa che arriva un temporale: porto dentro la macchina"
A: "e il cane?"
.......

venerdì 5 settembre 2008

Dicotomie instabili

I fiori dell'alberello in mezzo alla siepe (suona incredibile, ma non lo è) sembrano tanti piccoli cilindri di zucchero filato.
2 opzioni dicotomiche:
- opzione 1: gli esami mi hanno dato alla testa ed ho le allucinazioni
- opzione 2: mia madre ha degli ottimi gusti per scegliere piante sconosciute.

Il fatto che abbia considerato la seconda opzione rende vera la prima. Alla faccia delle dicotomie.
CVD

domenica 24 agosto 2008

Vita smeraldo

Giardino smeraldo;
brilla nel buio di ua città in corsa,
rombi di motore e minuti fuggenti.
I palazzi mi avvolgono e dormono:
le serrande chiuse nascondono sonni,
speranze che scappano tra i sogni,
tra grida stridule di gatti in calore
in una sera che profuma di umido e stelle.
La notte fresca carezza il salice leggero,
perle d'acqua nascondono le mie carezze
tra i petali teneri di un bocciolo di rosa,
i piedi giocano con l'erba bagnata,
i pensieri corrono nella brezza viva:
forse i sogni avranno una voce ed un sorriso,
stanotte la vita sembra avere nuova forza.

martedì 19 agosto 2008

sogno tremulo

Vorrei portarti un passero in dono,
lasciarlo volare schiudendo le mani,
sentire il suo tremore tiepido tra le dita,
saltare con te inseguendo ranocchi,
sentirne il muso che spinge impaurito,
la pelle fredda che cerca il nostro calore.
Vorrei seguire il tuo sorriso,
trovarlo nei tuoi sguardi fissi nel vuoto,
scoprire le abitudini che rendono complici,
sentirmi avvolta del tuo abbraccio,
trovare nel tuo sostegno la fuga alle paure,
scoprire la vita nei tuoi sogni, nel mio futuro,
nei piccoli gesti che mi fanno sentire unica.

venerdì 15 agosto 2008

Sogni nella quarta di copertina

Ci sono libri che ci portano in un altro mondo, come la droga colpiscono i sensi e l'immaginazione. Diventiamo dipendenti senza nemmeno accorgercene, leggiamo pagine che ci fanno trasalire al minimo soffio di vento mentre la nostra mente vaga tra stanze in penombra, candele e personaggi che ci sembrano amici da tempo immemore: come se fossero fantasmi dei nostri pensieri si muovono e agiscono come un alter ego, come un piccolo sosia nei movimenti del Fato dettato da uno scrittore.
Questi libri hanno un solo compito: avvolgerci in luoghi lontani, dove il quotidiano non sappia raggiungerci, e dove le nostre incertezze si trasformano in sogni, in storie.
Quante volte m'è capitato, dopo aver viaggiato tra le righe, di creare immagini, filmini, dove la mia vita correva diversa, dove ogni personaggio della trama poteva uscire dalle pagine e spiegarmi cosa avrebbe fatto e come!!! Salvo poi risvegliarmi di fronte alla quarta di copertina scoprendo che i miei nuovi amici avevano la voce della mia stessa coscienza e mi ricordavano gli errori compiuti o il mio scarso coraggio. Da svegli però è più semplice zittire il pensiero: ripongo il libro nello scaffale e archivio temporaneamente tutte le nuove sfaccettature delle emozioni, ben sapendo che nel tempo torneranno a bussare, timide e sagge, e m'insegneranno cosa fare, quando e perché. Purtroppo però continuerò a sbagliare, per quanti libri legga non sarò mai infallibile a trattare con le persone finché non imparerò a trattare con me stessa.
Talvolta dicono che nei sogni e nelle lettere si scoprono le vere aspettative di una persona e crollano tutte le bugie, piccole o grandi che siano, con cui ognuno di noi si nasconde a stesso.
Io non scrivo più lettere da tempo e questo piccolo racconto che tento di portare avanti insieme alle mie poesie sembrano sempre più un paravento dove infilare i miei più nascosti segreti: chi guarda vede solo il disegno sulla carta di riso, ed ignora le ombre che vi si celano dietro.
Sempre che qualcuno guardi...

controindicazioni

N:"hai preso l'acqua stanotte? non ho visto la bottiglina"

G: "sì, grazie. Era bella fresca; e poi mi serve per prendere la pillola"

N: "che medicina devi prendere?"

G: "la pillola anticoncezionale, è una vita che la prendo"

N: "a sì?!?"

G: "sì, così non sto male"

N: "ma fa ingrassare? perchè se fa ingrassare... perchè la devi prendere?"

G: .....grrrrrr...........

Vampe d'Agosto

Basta!!!!!!!!
Hanno detto che avrebbe piovuto a secchiate tutto ferragosto e c'è un caldo micidiale: non vuole piovere? Ebbene sì, ora avvio i miei superpoteri: metto il costume nello zaino e vado a farmi l'idromassaggio in piscina! e vedrai se non piove........

mercoledì 13 agosto 2008

un attimo ancora

quando la vita sfuma come il sole al tramonto, viene facile chiedere ancora del tempo, invocare l'onnipotente o chi per esso per qualche ora in più, per mantenere in vita almeno qualche sogno.
invece ci troviamo fermi di fronte ad una realtà senza emozioni, senza pietà di fronte al nostro fragile sopravvivere, camminare in avanti, sempre e comunque.
questi sono i momenti in cui vivere fa male. eccome se fa male.

giovedì 24 luglio 2008

capitolo secondo - arrivo 2^ parte

"sì?"
"buongiorno! benvenuta! Io sono Rosetta, l'impiegata dell'agenzia di viaggi con cui ha parlato in questo mese" disse lei cordiale e sorridente. La sua voce, squillante al telefono, appariva ora con un accento stridulo quasi di falsetto. Il sorriso, invece, appariva in tutta la sua radiosità, caldo e sincero dal sole di sicilia.
"buongiorno! non l'avevo riconosciuta, dalla voce non sembrava così giovane" mentì spudoratamente Dafne. Quanti discorsi avevano fatto al telefono, mentre lei guardava i minuti aumentare, insieme alla bolletta. Avevano concordato tutto: era stata una lunga e diplomatica discussione su ogni singolo euro che era disposta a spendere, ma alla fine avevano trovato un accordo dettagliato e soddisfacente per entrambi. Ora temeva solamente che i padroni di casa facessero problemi, ma per ogni evenienza si era portata via il contratto ed un bel po' di energia per far valere le sue ragioni.
"i restanti bagagli le arriveranno i prossimi giorni?" chiese Rosetta prendendole il valigione con estrema facilità e portandoselo verso una sgangherata fiat uno rossa parcheggiata lì vicino.
"no, non ho altri bagagli" rispose quasi stupita della domanda Dafne.
"come?!?!? ha solo questo? solo solo la tenda le occuperà almeno mezza valigia, un'altra mezza il sacco a pelo"
"non ho una tenda: da quanto mi ha detto lei il posto ha ancora il tetto". Era letteralmente spaventata per la situazione in cui si era cacciata. E per di più non aveva un soldo per potersi permettere qualcosa di meglio, o anche solo di diverso.
"beh, sì, ha un tetto: ma non ha porte ed è in aperta campagna. Non avrà freddo?"
E paura? aggiunse tra sè e sè.
"no, non si preoccupi: so che può sembrare strano, ma ci sono abituata"
Come poteva dirle che da piccola passava intere settimane con la nonna nei boschi irlandesi con il solo riparo dei sacchi a pelo e di capannucole in pietre antichissime, sconosciute a tutti tranne che a loro? Non solo non ci avrebbe creduto, ma probabilmente l'avrebbe insospettita qualora le fosse capitato di fare un passo falso.
"Contenta lei. Sicura che non vuole che le cerchi un albergo?" chiese Rosetta tra il curioso ed il preoccupato.
"no, no non si preoccupi" rispose triste. Quanto avrebbe voluto dire di sì, prenotare un albergo, farsi una doccia calda, profumata e dormire in un morbido materasso! Purtroppo però non poteva permettersi questi lussi: non avrebbe avuto soldi per mangiare. Aveva speso tutti i soldi liquidi che aveva in conto e non aveva voluto sbloccare i pochi investimenti che aveva in banca. Aveva deciso ancora tanti anni or sono che quei soldi non li avrebbe toccati per nessun motivo se non l'acquisto di una casa per tutta la famiglia e non aveva intenzione di venire meno al suo impegno, in fondo l'aveva promesso ad un padre conosciuto troppo poco e troppo tardi.
Continuò a ricordare eventi passati, come in un film sconnesso in cui avessero montato le scene senza una sequenza logica, senza senso quasi. Era così la vita? Un insieme confuso di tessere di un puzzle che non si riesce mai a comporre, un disordine di gusti, sapori e profumi che non vengono da nessuna pietanza particolare, ricordi senza senso, senza sequenza?
si risvegliò come da un incubo durato troppo a lungo, trovandosi nella macchina, accaldata, a strapiombo sul mare, metre Rosetta guidava lungo curve a gomito senza quasi poggiareil piede sul freno e senza cintura. Il mare si stendeva come una lingua di blu, circondata da bianco trine di spuma sulla costa e separata dal cielo da una netta linea indaco all'orizzonte. La strada era stretta, ci passavano appena due macchine sfiorandosi quasi. Da un lato si ergeva una specie di paretina in sassi tirata su a secco, dall'altro la strada terminava direttamente con una discesa di almeno venti metri prima di allungarsi sullo strapiombo di rocce che si gettava a sua volta in mare.
Rosetta continuava a parlare, come una mitragliatrice sputava fuori dicorsi e parole che Dafne non aveva seguito neppure per un istante. "chissà se se ne sarà accorta?" si chiese tra sè e sè "eppure un poco mi sento in colpa: in fondo è venuta a prendermi e mi sta portando nelle mia 'nuova casa'. Non aveva nessun obbligo in questo senso. Magari avrei fatto anch'io lo stesso ma, dopo tanto trattare per pochi euro di spese e affitto, non me l'aspettavo".
"......quindi ci tocca passare di qui finchè non sistemeranno quella dannata frana" disse Rosetta continuando a parlare a raffica.
"scusi? non ho capito bene.." chiese Dafne con aria trasognata ed innocente.

giovedì 17 luglio 2008

capitolo secondo- arrivo

Guardò il mare correre sotto i suoi occhi mentre il treno ripartiva: un immenso abbraccio che si appoggiava sinuoso a carezzare una lingua di spiaggia chiara.
"è la prima volta che vieni qui?" chiese il signore bonario di fronte a lei.
"sì, mai venuta prima. si nota tanto?"
"già, sembri una bambina che guarda un nuovo giocattolo" rispose bonario l'uomo che aveva di fronte.
Sorrise e tornò attenta a guardare il paesaggio che le correva in fianco, rimanendo assorta nei suoi pensieri e nelle sue attese anche quando le gallerie inghiottivano ogni immagine assordandole le orecchie e rimbombandole in testa.
Non passarono molti minuti che l'altoparlante scandì il paese di Patti come prossima fermata. Dafne sussultò, come svegliata d'improvviso dal correre dei suoi sogni, si alzò e, guardando interrogativa il capostazione, si portò verso la sua valigia nel corridoio.
come se fossero stati organizzati da un invisibile coreografo tutti si organizzarono per scendere; Dafne li guardava quasi estasiata: tutti si aiutavano, anche non conoscendosi, a far scendere le valigie.
"dai su! tu non ti muovi? passami la valigia"
Si girò: era il capostazione che la chiamava, era già sceso e le tendeva la mano per prendere la valigia. Si sentì come una bambina imbranata che non avesse mai viaggiato da sola, incapace di organizzarsi per una semplice discesa da un treno. In effetti odiava fare viaggi lunghi o con bagagli pesanti: era sempre riuscita a combinare guai, inciampare, perderli per strada finché rincorreva un treno in ritardo; una volta le si era pure aperta una valigia al check in prima di prendere un aereo.
Prese la valigia e la porse al signore, scoprendo stupita che il signore bassetto che le stava di fronte in realtà era dotato di una forza inimmaginabile: prese e spostò con facilità il borsone e l'aiutò a scendere, oppressa dallo zaino che portava sulle spalle.
salutò e s'incamminò con i suoi bagagli verso l'esterno della stazione.
Si guardò intorno e vide solo sole, un piazzale deserto e spoglio, senza alberi, senza nessuna delle bellezze che s'immaginava ad attenderla.
"Dafne!!" un urlo la raggiunse stridulo all'orecchio destro: una ragazza stava correndo verso di lei, affannata e accaldata, le guance rosse per il caldo sotto la lieve abbronzatura, bassina, le gambe decisamente importanti sbucavano da una gonna a tubo che si fermava appena sotto il ginocchio e le dava almeno 10 anni più di quelli che doveva avere. Gli occhi neri, luminosi e fuggenti squadravano ogni passante tra i passeggeri appena scesi dal treno; i capelli ricci, crespi e ribelli, incorniciavano il viso donandole un aspetto da bambola di porcellana. Quel viso, quel corpo, sembravano talmente diversi da non appartenere alla stessa persona, eppure insieme davano a quella ragazza l'aspetto del tempo che corre e si ferma nello stesso istante: il viso da bimba in un corpo cresciuto per star dietro alla sua stessa impulsività. Un'opera di un artista un po' matto ma con buon gusto.

martedì 24 giugno 2008

Prenditi tempo per te...

Accidenti a tutte le volte che mi dicono: "prenditi del tempo per te!"
E a tutte le volte che li ascolto: prendo, come dicono loro, del tempo che in realtà non è per me, ma per le migliaia di svariate possibilità che la cosmesi offre.
Detto ciò, mi armo di pazienza e buoni propositi (prima o poi dovrò pure assomigliare ad una donna...) e prendo la classica mascherina per il viso (comprata sempre seguendo i consigli di cui sopra). Tempo di asciugatura 10 minuti. "bene" penso fra me e me "ci metto pure poco, come pausa studio è ottimale".
Inizio a metterla e scopro che il tempo per stendere, non dico alla perfezione, ma almeno decentemente, detta maschera argillosa, è almeno 10 minuti!!!!! sembra di mettere la calce a parete! nemmeno quando modello le candele o il ferro per gli orecchini faccio tanta fatica....
"una volta fatto" mi dico "hai finito le rogne: torni ai tuoi libri e quando senti la pelle asciutta vai a sciacquarti la faccia, e ci hai pure ottenuto la rinfrescata".
Mai pensiero più sbagliato: solo per asciugarsi ci mette mezz'ora. Poco male, tanto dovevo studiare. Senonchè studiando i capelli finiscono sul viso, e i capelli appena lavati non vanno d'accordo con l'argilla...
Torna in bagno e sistema i capelli: la coda non si può fare perchè si rovinano i ricci, le mollette non vanno bene per lo stesso motivo, il nastro di raso non ce l'ho qui, ovviamente.
Cosa faccio? Penso alla parrucchiera: "fai la fascetta con i capelli davanti, facedogli fare una specie di cerchietto e legandoli dietro a mo' di coda. E' facilissimo! e lo usa spessissimo anche Paris Hilton!"
1° per chiunque mi conosca è ben chiaro che io con la Hilton non ci ho proprio nulla a che vedere, quanto meno perchè ho i miei due neuroni (Cip e Ciop), e ogni tanto cozzano pure tra loro.
2° sarà facile per te, che lo fai da almeno 5 anni!! ho provato io e, finchè sistemavo la fascetta da un lato, mi si annodavano i ricci dall'altro
3° ma secondo te: è meglio andare in giro come un'idiota o come un maschiaccio? io opterei per la seconda...
In ogni caso, dopo circa 20 minuti ci riesco, faccio la coda con i rimanenti boccoli (mi prendo la rivincita, tiè!) e torno a studiare (molto meno fresca di prima).
Dopo 10 minuti finalmente mi sento mille tiranti che bloccano non solo la mimica (sai che mimica finchè si studia: un pesce lesso a confronto è un attore), ma anche la capacità di aprire la bocca e, non dico parlare, ma almeno respirare potrebbe essere utile.....
Vado in bagno per togliere la maschera:
1° getto d'aqua--> non succede nulla
2° getto d'acqua-->si bagna il primo strato di cemento...
3°, 4°,.....10°-->o sono idiota io che non centro nemmeno la mia faccia, o mi hanno fatto pagare 10 ml di cemento a presa rapida molto più del prezzo di mercato
11°-->sto cercando letteralmente di grattarla via...
15°-->ci sarà pure una spatola da qualche parte.....
20°--> yuppy!!!!con la spugna per pulire (quella con il lato ruvido per intenderci) si inizia a vedere la pelle.... :) per fortuna ne avevo prese un paio di nuove giusto ieri...
25°--> beh, ho imparato il trucco.... ora ci vuole niente ;)
Giusto per finirla mi trovo con:
  • capelli sporchi di argilla da rilavare
  • ricci spaisi per via della coda
  • viso mezzo distrutto ma liscio come il culetto di un bambino
  • incazzata come una iena ma con i muscoli per ridere ben allenati
  • goccioline di sudore che mi imperlano la fronte
  • gran poca frescura nonostante la mezz'ora al lavabo...

Ho capito perché le mega gnocche che si vedono in giro non sorridono mai... Quello che mi riesce ancora complesso da comprendere è come facciano le aziende cosmetiche ad avere ancora qualcuno che compra i prodotti!!

La prossima volta provo a farmi fare un gesso al pronto soccorso: almeno la sauna è gratuita!!!

domenica 22 giugno 2008

Giochi di fuoco

Prismi smeraldo coprono il buio,
non di tuoni il rimbombo,
il cuore rimbalza e freme:
cascate di piccoli diamanti,
enormi clessidre zaffiro
fermano il tempo ed il fiato,
sospesi nell'attimo di un pensiero.
Lingue di fuoco si muovono leste
avvolgono, stuzzicano e solleticano
enormi soli di scintille,
punti di fuoco che avanzano nel cielo,
cerchi e rette, geometrie d'emozione
che s'inseguono nel batticuore.
Veloci, continue, improvvise,
colori, luci, echi:
il buio all'improvviso ed il silenzio.
tre tuoni, tre colpi al cuore,
il vuoto riempie l'orizzzonte
e abbandona i sogni.
I suoi occhi sono qui,
scuri, grandi, innamorati:
mi ama senza parole, sinceramente.
rimaniamo abbracciati a scoprirci,
a cercare i nostri diversi profumi,
a scambiarci il caldo di vivere
nella brezza della sera.
Nessun discorso inutile,
nulla vale più di quel bacio veloce,
del mio sorriso profondo.
Lei lo sa, nel suo passo leggero,
nel suo dovermi toccare,
nel suo essermi fedele:
siamo sorelle.

mercoledì 18 giugno 2008

capitolo secondo- arrivo

Un viso sorridente, con occhi lucenti e sbarazzini sbucò dalla porta dello scompartimento: “Vieni che siamo quasi a Barcellona. Ti do una mano con il valigione.”
Alzò lo sguardo, lo vide e s’illuminò senza nemmeno accorgersi. Le piaceva quel ragazzo.
Si alzò in piedi, si sistemò i jeans (chiedendosi com’era mai possibile che riuscissero a fare così tante pieghe in solo un’ora) e iniziò a darsi da fare per disincastrare la valigia.
Non se ne rendeva conto, ma davanti a quel ragazzo ogni suo movimento aveva qualcosa di sinuoso, di nuovamente femminile e ammaliante. Tutti i viaggiatori dello scompartimento se ne accorsero: i loro occhi puntavano insistentemente sulla schiena e le spalle di quella strana ragazza che all’improvviso sembrava avere assunto le movenze sinuose di un gatto, non cozzava più contro le gambe altrui, si spostava tra un sedile e l’altro come se non avesse mai fatto altro nella sua vita. Le sue spalle erano posate e forti al contempo mentre i muscoli si tiravano a sostenere la valigia quasi più grande di lei. Se lo ricordavano bene i passeggeri quando era salita: ci si erano dovuti mettere in due ad aiutarla a sistemare quella specie di casa ambulante, che tra l’altro aveva occupato quasi tutto lo spazio costringendoli a mettere i loro sulle gambe o sotto i sedili luridi.
Ora era lì, splendida come una farfalla: non sentiva pesi o sforzi e sorrideva; continuava a sorridere con gli occhi, con le labbra, persino con le spalle e la schiena.
“eccomi” rispose, quando aveva finito. Mario era rimasto incantato a vedere come i muscoli di quella ragazza esile e alta sembravano risvegliarsi ad ogni movimento e scostavano la maglia appena aderente.
“ti sei addormentato? Non credevo d’averci messo molto” lo risvegliò con uno sguardo che sembrava quello di una bambina contrita: gli occhi grandi, spalancati nel verde smeraldo che li illuminava.
“no, no, scusa. Pensavo ti servisse una mano per il peso, ma vedo che nonostante tu sia magrissima la natura ti ha notato di una forza impensabile”
“non è poi così tanta: mi stanco in fretta. E poi mi fa piacere se m’aiuti: qui sembra un formicaio tale è il brulicare di persone e valigie e pacchetti. C’è da perdersi.”
“hai solo questa valigia? Ti conviene prendere tutto perché poi non riesci a tornare indietro perché il corridoio s’intasa con chi deve scendere.”.
“ma io non devo scendere qui: blocco il passaggio”
“non ti preoccupare: per te ho scelto e prenotato il posto d’onore. Non è proprio un palco da teatro, ma non ti verrà addosso nessuno e potrai raggiungere l’uscita anche da sola con i tuoi mille bagagli. E poi ho trovato una persona che t’aiuterà.”.
“sei troppo gentile, non dovevi preoccuparti così: in qualche modo farò, senza disturbare altra gente”
“spiacente: già disturbata.”
Le prese la valigia di mano e la sollevò senza far notare lo sforzo che effettivamente stava facendo. A tutti meno che a lei: in fondo come ortopedico non era poi così male.
“attento: così poi verrai a cercarmi per curarti più che per portarmi a scoprire la Sicilia”
Egli la guardò sorpreso e con uno sguardo interrogativo: “Scusa?”
“così ti spezzi la schiena, non hai caricato un solo chilo sulle gambe. Lasciatelo dire da un ortopedico”
“ecco cosa succede a tentare di far colpo su di te: prima mi spezzi la schiena, poi l’orgoglio. Mi rimane solo il cuore intatto, ma temo avrà vita breve anche quello, se continui così”.
“mi spiace, lo dicevo per te.” Di nuovo quel visino contrito: era adorabile.
“non ti preoccupare: tanto lo so che non mi vorrai mai, sono troppo basso per una stanga come te”.
“Silly”
“eh? No ablo espanol”
“non è spagnolo, è inglese… significa stupidino”
“anche…. Non c’è proprio gusto a farti un piacere”
“ma no, che dici! Volevo dire che non mi è mai interessato quanto alto sia un ragazzo. Anche perché da noi non ci sono solo giocatori di basket!”
“vedi che ce l’hai un ragazzo…. Un giocatore di basket in Irlanda. Che fortunato!!! A parte averti lontana”
“come devo dirtelo che sono single?”
“sarà, ma è difficile crederci. Sembri nascondere qualcosa tu…. Streghetta!”
Mario posò la valigia e rise di gusto. Anche Dafne provò a ridere, ma proprio non ci riusciva: quelle parole la colpivano a fondo, su una ferita ancora aperta, ma non voleva darlo a vedere e non voleva dare spiegazioni.
“ti piace?” chiese Mario indicando uno slargo sulla fine della carrozza, dove aveva posato la sua valigia.
“sì, avevi ragione: lì non darò fastidio a nessuno.”. Rispose passandogli lo zaino e la borsa che portava con sé.
“questa è meglio che la tieni con te” ripassandole la borsa.
“non ti preoccupare: è solo roba di poco conto, nessun valore, se non affettivo”
“in ogni caso, non c’è scritto fuori: meglio tenerla addosso. Vieni che ti faccio conoscere il tuo angelo custode”
“non eri tu?”
“no, io sono il tuo insegnante d’italiano”
Arrivarono allo scompartimento vicino al suo e Mario fece cenno ad un signore sulla cinquantina.
“te la affido: custodiscimela integra col bagaglio e non farmela rimpatriare prima che mi abbia dato una seconda possibilità”
“promesso: te la caccio giù alla stazione giusta. Ma che mi dai in cambio?” rispose egli facendogli l’occhiolino. Era un tipo bassino con la pancia, pelato, occhiali, baffi curati e aspetto di persona bonaria e scherzosa. Sembrava davvero una persona di cui fidarsi.
“ti darà lei qualcosa in cambio, ma spero non ti serva mai: è un doc”
“acc! Devo stare attento allora… brutta gente i medici!” disse ridendo.
“parli proprio tu che ne sei figlio...”
“appunto!! Li conosco bene!”
“mah, io ora vado. Grazie!” uscì dallo scompartimento e prese delicatamente la mano di Dafne “arrivederci bella dottoressa. Spero davvero di rivederla presto, lontano dal suo lavoro, mi raccomando!! Scherzi a parte spero tu ti sia trovata bene. Ti lascio in buone mani: quello è il capostazione di Gioiosa Marea. Buon proseguimento! Il mio numero ce l’hai, semmai ti servisse qualcosa proverò ad aiutarti”.
“grazie mille, sono senza parole”
Mario la guardò fissa negli occhi, si portò un dito alla bocca e le sussurrò piano, dolcemente “sssshhhhh, non parlare: è un tale spettacolo avere i tuoi occhi davanti, che diventa un piacere qualsiasi cosa.”
La salutò velocemente con la mano e corse ai bagagli giusto in tempo perché il treno si stava fermando.

venerdì 13 giugno 2008

Coppia d'anime tremanti

Nubi attorcigliate nel grigio del vento,
la brezza coglie appena i profumi del tempo,
spine di rosa graffiano i sensi,
boccioli umidi di pianto,
in un'estate che corre oltre il freddo.
Piove con ogni sospiro,
il sole non scalda i pensieri
mentre le rondini volano:
un'eterna primavera senza fine.
Salvami dal tempo che fugge,
scoprimi viva, parlami!
Svegliami da un mondo che non sente,
prendimi, nella parte profonda dei sensi,
cogli la rugiada d'ogni mia alba,
abbracciami come il buio nella notte,
sussurrami ogni idea che faccia solletico,
carezza il mio respiro quando scende sui fianchi,
scopri i miei muscoli farsi vivi nel tuo calore.
Amami! Sognami! Portami con te!
Lontano, tra sogni di nebbie,
profumi d'erba bagnata,
fragore d'onde, disperso nelle scogliere:
saremo lì, nella sola emozione d'un lampo,
uniti come i sogni nel mondo di Morfeo.
Unici e soli, due anime nel battito d'un cuore,
seguiremo lampi e tuoni, turbini e soffi,
un unico fiato nell'abbraccio,
tra i miei seni e le tue spalle,
le tue braccia a cingermi la mente,
le tue labbra sulle mie spalle,
due in un solo pensiero.


'notte a tutti!

capitolo primo- il viaggio 3^ parte (ultima credo)

“sì, scendo a Patti. Mi hanno detto di spostare i bagagli a Barcellona però.”
“Se vuoi t’aiuto io: scendo proprio a Barcellona.”
“Sì, grazie. Sei sempre così gentile?”
“Solo con le fate dalle lunghe gambe e i ricci color del fuoco. Ma devono essere irlandesi DOC: sai, visto come so io l’inglese, riconosco subito i falsi”. Le fece l’occhiolino: non glielo facevano dai tempi delle scuole, quando volevano copiare i suoi compiti.
“Sei di qui, della Sicilia?”
“No, io sono nato e cresciuto in provincia di Roma. I miei nonni sono di qui: vivono a Patti. Mia sorella si è sposata qui e vive a Barcellona, e da quando ha avuto i bimbi sono fuggiti da Roma anche i miei genitori.”
“Ecco perché scendi a Barcellona!!”
“Beh, sì. Credevi che fossi in vacanza? A metà Aprile?”
“Perché no? C’è caldo, io mi farei pure il bagno a mare.”
“Si vede che sei nordica. Qui il bagno si fa da metà Maggio o da fine Giugno in avanti. Per noi poveri umani l’acqua è fredda. Ma come vi abituano a voi? Vi mettono nei laghi ghiacciati da neonati?”
Ma come faceva a trovare sempre il modo di ridere? Ogni cosa dicesse era una battuta, uno scherzo: era impossibile prendere sul serio quell’italiano.
“No, ci mettono a sciogliere la neve, al posto del bue e l’asinello”
“Scherzi a parte abiterò vicino a casa tua, se vuoi ci possiamo vedere qualche volta”
“Non c’è problema, ma io non starò a Patti. Andrò per un po’ in un paesino: si chiama Gioiosa Marea.”
“Sì, lo conosco: ci abitava una mia ex zita. Hai già l’albergo?”
Dafne rise tra sé: se una casa diroccata di campagna si poteva chiamare albergo…
“Sì, più o meno. Diciamo che so dove dormire.”
“ Hai un ragazzo che ti aspetta giù? Che stupido non averci pensato: ecco perché sai l’italiano. In fondo una ragazza bella come te non poteva essere single.”
Arrossì: pensò che sarebbe stato bello avere qualcuno che l’aspettasse, che la portasse a casa, la mettesse sotto la doccia e la coccolasse tutta la notte. “Se continuo a sognare così, tra poco faccio le fusa” pensò sentendosi le guance calde.
“No, no. Purtroppo sono sola. Ben organizzata in ogni caso.”
“Fiiiiiiù. Posso stare tranquillo allora: nessuno mi aspetterà fuori di casa per darmele in preda ad un attacco di gelosia. Ti lascio il mio numero: quando vuoi chiamami.”
Prese un pezzetto di carta: era lo scontrino del caffè che avevano preso sul traghetto. Ci scrisse sopra il numero e glielo porse.
“Così ti ricordi del tuo insegnante d’italiano”
“Difficile dimenticarsi qualcuno che per farti una sorpresa ti cade addosso” rispose ridendo al ricordo di lui che le scivolava addosso per coprirle gli occhi.
“Simpatica. Ecco cosa succede a fare le sorprese alle belle ragazze. Poi che colpa ne ho io se sei alta un metro e ottanta? A noi qui ci fanno piccini: risparmiano sul materiale”
Mario si toccò d’improvviso la tasca dei pantaloni: era il suo cellulare che vibrava. Lo tirò fuori, guardò il messaggio e rise: “Pensa te: questo è il mio amico Sergio che pur di non alzarsi dal sedie del vagone mi sfotte via sms. Sarà invidioso perché posso starmene vicino ad una bella vichinga mentre a lui tocca il grassone di turno. Meglio che rientriamo, anche perché tra poco qui sarà pieno di gente con le valigie. Ti chiamo prima di Barcellona.”
“Va bene” sorrise a Sergio nel vagone, si mise il numero di Mario in tasca e tornò a sedersi al suo posto.
I suoi vicini le sembrava che le sorridessero già di più.
“Sarà solo un’impressione” pensò tra sé.

giovedì 12 giugno 2008

Ultime ore stanche

Leggere piume tremano tra le mie mani,
il becco chiaro si apre appena:
flebile il respiro della vita appesa ad un soffio,
il terrore misto al calore di un passero bimbo,
penne troppo piccole per salutare il vento.
Il mio pensiero scivola tra i legni,
tra le schegge e la polvere, dove l'aria fugge:
le tue ali hanno rifiutato il sogno di volare,
hai trovato casa tra le speranze.
La notte ti porterà il fresco,
quieti sonni potranno riportarti in cielo.
Spero che il tuo canto colga l'alba,
vorrei portarti vicino al cuore
insegnarti a volare nel vuoto,
colmare l'assenza di peso,
cantare quei desideri di nubi,
di viaggi che volano con te.
Addio piccolo, sogna il tempo,
io proverò a regalarti il giorno,
trovando nel tuo coraggio un nuovo sorriso.
Già mi manchi, cucciolo non amico:
prego di poterti donare acqua e cibo,
vedere il tuo canto farsi cielo
abbandonare i miei occhi per fuggire,

sognare mentre la città scompare sotto di te.

mercoledì 11 giugno 2008

capitolo primo- il viaggio 2^ parte

Lo seguì, leggera come le farfalle a primavera. I suoi occhi si posavano ovunque: sulle lamiere bianche del traghetto, sulle scritte, sui passanti più strani.
Andò su per le scalette strette chiedendosi come mai facessero le persone ad usarle quando il mare era anche solo un poco mosso: erano strettissime e con una pendenza davvero impressionante.
Nel mentre, lo guardava salire per le scale quasi correndo: era davvero un bel ragazzo, anche se un po’ bassino aveva davvero un fisico atletico.

Si accinse ad andare dietro di lui e appoggiò per sbaglio la mano sul corrimano: il contatto con qualcosa di unto e appiccicaticcio la inorridì. Non era semplice salsedine come quella cui era abituata, era qualcosa di sporco, unto e solo infine salsedine. Tentò di non pensarci e finì di salire i due piani di rampe che si susseguivano in salita.
Egli l’attendeva sorridente alla fine e le porse la mano per invitarla ad uscire all’aperto.
Dafne si ricordò di nuovo di quella sensazione di sporco ed unto e ritrasse la mano istintivamente con una faccia quasi disgustata.
Si stupì di notare la delusione negli occhi di lui che puntualmente le chiese: “tutto a posto? Sembra che d’improvviso ti faccia ribrezzo il tuo insegnante d’italiano: se ti avvicini non ti mangio mica”.
Arrossì all’improvviso. “ Perdonami, ho toccato lo scorrimano e ho tutta la mano coperta di un non so cosa di sporco e grasso”. Sperò in fondo all’animo che le credesse davvero e che non suonasse come una scusa.
Egli sorrise come stesse assistendo alla marachella d’un bambino e tirò fuori dalla tasca una confezione di fazzoletti inumiditi e glielo porse.

“Mai viaggiare senza, se non vuoi sentirti un barbone… e si dice corrimano, non scorrimano. Per fortuna che insegno io a te e non viceversa sennò mi correggeresti ogni respiro”.
È incredibile: sapeva sorridere anche con gli occhi, con le mani, con la persona intera, come se vivesse solo per sorridere al mondo. Inoltre la faceva sentire sempre come una bambina, cosa che, all’alba dei suoi quasi trent’anni, era quanto meno rara.
Si pulì le mani, carezzando le dita lunghe, coccolandosele nel profumo. Non si era neppure accorta delle sue mani che le coprivano gli occhi delicatamente e pian piano la spingevano verso l’esterno.
Il profumo del mare la colse un istante prima che lui le cadesse quasi addosso, inciampando.
“Ecco, ti ho rovinato la sorpresa” le disse finché lei l’aiutava a rialzarsi.
“Che sorpresa?”
La prese per i fianchi, dolcemente, la guidò fino al parapetto e la girò: la Sicilia si ergeva ai loro occhi come un monte sospeso tra le acque, brulla e verde a tratti, illuminata dal sole dell’alba che si fermava sulla cime dell’Etna.
Il suo viso era attonito, respirava appena per la sorpresa, si vedeva ch’era felice: sembrava una bimba cui hanno appena regalato un cono gelato a tre gusti.
“Iniziano a piacermi queste lezioni d’italiano” disse con gli occhi che le brillavano.
“Ci credo: un’insegnante come me dove lo trovi?”
“in Italia! Che domande… Ma siete tutti così voi italiani?”
“no, solo quelli speciali sono così. Gli altri sono quasi così”
Risero insieme, ancora e ancora: ogni volta che si scambiavano idee, ogni volta che le spiegava qualcosa, ogni volta che i loro occhi s’incontravano, rideva. Le piaceva questa Italia: continuava a ridere.
Una volta arrivati scesero di nuovo nel vagone: il caldo li soffocò all’improvviso come un’ondata, unito ad un odore di stantio che colpiva il naso anche meno sensibile di Mario.“Sai già dove scendere? Hai chiesto al capotreno di indicarti la stazione?”. Era premuroso, come sempre. E come sempre la stupiva tanta generosità: in fondo nemmeno la conosceva.

martedì 10 giugno 2008

Prostitute

Comprami. Compra il mio sorriso,
vendi ogni mio sospiro,
e goditi il prezzo degli sguardi che non vuoi.
Compra il sogno che non sai conquistare,
guardami e non pensare,
prendimi senza parole, senza complimenti:
il mio corpo ti è dovuto,
la mia anima è persa nella notte
che svuota ogni mio pudore,
ogni sentimento che possa essere umano,
ogni pensiero di donna cade nel vuoto.
Perdi il tuo piacere, abbandonalo,
non sai gustare le carezze di un amore,
non sai perderti negli occhi di chi ti sogna.
Sai ancora vedere il sorriso della tua donna?
Sai ancora scoprire la sua pelle fresca,
il sudore che sa di piacere, di brividi e fiato spezzato?
Perché perdi le tue sere al ciglio di una strada?
Perché non vuoi guardare la mia persona?
Il mio corpo si farà vecchio,
i miei sogni sono già migrati nel vento,
come fantasmi tornano sulla pelle insensibile,
nel sudore di un amplesso che vale solo soldi.
Sei soddisfatto, ti sei sentito uomo nel cogliere,
nel pagare un bocciolo di rosa,
spezzarlo senza amore, piegarne il capo.
Io tornerò tra le vie, tra anime perse,
tra le ore che scorrono lente,
a chiedermi perché
donare una maschera rende così tanto.



a tutti coloro che preferiscono una scorciatoia e che non si rendono conto che forse si perdono il vero piacere

giovedì 5 giugno 2008

capitolo primo: il viaggio

Come avrete visto dall'etichetta questa è una storia, una neverending (= una specie di racconto a puntate in cui chi legge può commentare, suggerire e soprattutto dare spunti per come continuare il racconto).
Non ho avuto tempo nè di rivederlo nè di correggerlo causa esami: ve lo do così, come mi esce dalle mani, con tutti gli errori possibili di sintassi e ortografia. Siate gentili e datemi qualche tempo per le revisioni e correzioni prima di sparare a zero. In pratica non l'ho neppure riletto.
PS: il capitolo non è finito, manca ancora un pezzo, ma è ancora nella mia testolina e devo ancora scriverlo.
Per suggerimenti e co. sapete a chi rivolgervi.
BUONA LETTURA!!!




Guardava il mondo scorrere dal finestrino, veloce e ritmico, quasi sempre uguale: muro di cemento, piante scomposte, muro di cemento, qualche cittadina, paesucoli immersi nel caldo di un inizio estate che sembrava promettere meraviglie.All'improvviso apparvero le prime agavi, qualche fico d'india, ed il colore del sole iniziò a fiorire su limoni all'orizzonte. La sua mente si svegliò, iniziò a correre più veloce del treno caldo e afoso che la accompagnava, la opprimeva: corse alle foto che aveva ricevuto via mail di quel mondo che avrebbe incontrato di lì a poco, dove avrebbe trasferito la sua vita per almeno sei mesi; i mesi del sole, del caldo, nel paese in cui il caldo fa parte della terra, dei vulcani, del mare stesso.Guardò il suo valigione: forse era stata esagerata come sempre; ci sarebbe stata lei, tutta intera, in quella valigia, e forse sarebbe pure avanzato spazio. "Sarà la paura di abbandonare il mio mondo, di dimenticarlo, sarà che vivo nelle mie radici" pensò rapida guardandolo insoddisfatta "però per una che dovrebbe vivere in un sacco a pelo per sei mesi non è proprio il bagaglio adatto...".Tornò a guardare fuori, le colline si allontanavano lente, sorrette da montagne che ancora ospitavano i più popolosi branchi di lupi di tutta l'Italia. Non era difficile da credere in fondo: vedendo il sole fermarsi alla base di quei monti per lasciar spazio ad una foschia densa, quasi di nube, che le avvolgeva di una continua ombra decisamente inquietante. Le avevano raccontato che alcuni banditi, ancora nell’800, rapivano le persone importanti e le tenevano in qualche grotta o piccola casupola in quei monti. Le avevano spiegato che non era neppure immaginabile pensare di mettersi a cercare le persone rapite, non sarebbe mai stato possibile trovarle tra tutte quelle pietraie inarrivabili, senza nemmeno una mulattiera, tra gli arbusti che coprivano le colline come una foresta: era addirittura impossibile vedere il cielo. All'inizio non ci credeva: pensava fossero solo favole, come i suoi folletti della mezzanotte, o le storie di gnomi che rapivano le fanciulle al terzo starnuto, fiabe belle per insegnare le buone maniere ai bimbi, ma senza fonti di verità. In quel momento dovette ricredersi: nessuno qui lavorava di fantasia, tanto erano scure quelle montagne e quanto erano ombrose, fitte ed inquietanti le boscaglie, aggiungiamoci pure i lupi...Rabbrividì al pensiero. Forse l'Italia non era davvero tutta sole, mare e pizza. Si stupì di sé stessa: non aveva mai avuto paura di favole così, non aveva mai avuto i brividi da piccolina, quando le raccontavano favole di fantasmi o fiabe simili. Era stata sempre razionale, sempre dedita alla scienza, studiava le riviste scientifiche come un testo sacro. Ecco perché aveva scelto di fare il medico: amare il prossimo con la scienza, come con una religione. E poi non aveva mai neppure creduto al Dio cristiano che tanto li differenziava dagli inglesi, per lei non esisteva un Dio: era tanto semplice. Se in fondo avevano creato quelle religioni era puramente politica: in fondo capiva perchè non abbandonarsi ad un credo assoluto fosse un punto di forza, capiva perchè era più facile governare detenendo anche il potere religioso, anziché doversi sottomettere a quello di qualcun altro.
E ora? In Italia, le avevano detto, la Chiesa era parte civile e profonda della cultura, del popolo stesso. Le avevano anche spiegato che in realtà i praticanti erano in calo, ma che le persone anziane ascoltavano ancora ciò che diceva la Chiesa e che spesso c'erano discussioni politiche sull'intromissione del Papa negli affari del governo. Si preoccupò: davvero nei paesini il potere del popolo era ancora guidato dal prete? E che mai avrebbe detto un prete di un medico che dormiva in campagna in un sacco a pelo? Medico donna per di più…. Chissà se doveva mettersi il velo? Sorrise tra sé e sé: ma che mai stava pensando?!? Che fossero ancora ai tempi dei roghi delle streghe? “No, saranno solo stereotipi: in fondo ne giravano di simili sulla mia gente. Pensare che una volta mi hanno pure chiesto se credevo davvero ai folletti!!!”si disse ridendo. Eppure una volta sicuramente sarà stato così, in Italia come nel resto della vecchia Europa. In Irlanda per fortuna non succedeva più da tempo. A dire il vero, con tante tradizioni celtiche, non era mai successo davvero: è difficile scontrarsi con una cultura che è cresciuta e maturata nei secoli come quella celtica che risiede nel cuore d’ogni irlandese, anche di una Dubliner come lei.Si risvegliò dai suoi pensieri come da un sogno. Si stiracchiò lenta, sonnacchiosa come un micio dagli occhi verdi, appena allungati e socchiusi, profondi e sornioni.Tornò a sbirciare il mondo che le scorreva accanto: non scorreva più. Erano fermi. "chissà perchè?" si chiese preoccupata pensando ai famosi ritardi dei treni e dei servizi italiani. "mi sa che mi ci dovrò abituare" pensò sconsolata.Si stiracchiò un'altra volta, pigramente, stendendo le gambe lunghe, fino ad incrociare quelle del passeggero di fronte che iniziò a guardarla storto. In fondo non era colpa sua se gli scompartimenti erano così stretti e piccini, e neppure se non era stata in grado di fare così velocemente amicizia con i suoi compagni di viaggio. "Ho capito che sono irlandese ed ospitale, ma qui son tutti pazzi!!!! Parlate tra voi come se vi conosceste da una vita e foste amici da tempi immemori, invece avete passato insieme solo le ore di questo viaggio estenuante" pensò tra sé " e di sicuro se invece che le mie di gambe fossero state quelle del vicino con cui hai chiocciato tutta la notte non avresti fatto quella smorfia così schifata. E ora, nazionalista senza cuore, puoi anche toglierti quel ghigno di torno" Si alzò restituendo lo sguardo inceneritore dell'uomo e si allontanò verso il finestrino in corridoio.
Si sporse appena, quanto bastava per scoprire che il motivo della sosta era l’arrivo a Reggio Calabria: il cartello blu con il nome in bianco le sembrò quasi amico.
Mancava circa un’oretta di treno, dopo il traghetto, e sarebbe arrivata. All’agenzia erano stati chiarissimi: bisognava semplicemente avvisare il capotreno che si sarebbe scesi a Patti, ma stare attenti già dalla partenza a Messina e preparare i bagagli per scendere già alla fermata di Barcellona. “E pensare che credevo fosse in Spagna, Barcellona” sorrise tra sé e sé, pensando al momento in cui aveva letto la mail e credeva la stessero prendendo in giro. Lo ricordava bene: stava per rispondere tutta una serie d’insulti in risposta alla mail, chiedendo di riavere l’anticipo, minacciando cause e chissà cosa. Per fortuna la sua compagna di stanza le aveva posto il dubbio: magari c’era una città omonima, in fondo può succedere, e poi, la cartina del viaggio avrebbe dovuto guardarla in ogni caso. Si accorse che stava ancora tirando un respiro di sollievo ripensando a quando, con il cuore in gola e il terrore d’essere stata presa in giro, aveva trovato quel paesino sulla carta, vicino alla linea ferroviaria: un cerchietto puntato, come i paesi appena più grandi di quelli che a malapena venivano nominati.
Vide i pochi passeggeri che erano scesi risalire sul treno, dopo pochi minuti ripresero a muoversi. Era agitata: non aveva mai visto caricare un treno su un traghetto: le sembrava così strano, così nuovo. Guardò dal finestrino con attenzione tutte le manovre, andavano avanti e indietro di continuo, come se fosse difficile imboccare il binario nel traghetto. Ad un certo punto a fianco a lei si appoggiò un ragazzo, anch’egli curioso di vedere a che punto si era con l’imbarco. Si guardarono, un solo istante, gli occhi scuri, grandi e dolci del ragazzo fissarono i suoi, aperti e amichevoli. Dafne si accorse di sorridere spontaneamente a quello sguardo che sembrava tenderle una mano in quel viaggio verso l’ignoto e di trovare simpatico, così senza nessun motivo, quel ragazzo che non la squadrava come tutti gli altri.
“You speak english?” le chiese con fare quasi fraterno. “Mio Dio!!!!!! Si deve proprio vedere da subito che sono irlandese!”disse tra sé e sé. Poi si affrettò a rispondere “Yes I do, ma parlo anche italiano se ti va più comodo” con un sorridendogli con gli occhi verdi luminosi come smeraldo.
“Beh, sì, effettivamente non è che sappia molto l’inglese. Sembravi così spaesata: avrei tentato di farmi capire, almeno spero” chinò la testa quasi arrossendo con un sorriso timido.
“Quanto son dolci questi ragazzi italiani” pensò tra sé. “Sei gentile, grazie. Si vede tanto che sono straniera?”
“Sì, qui non girano molte ragazze rosse con gli occhi verdi, diciamo che non sei il tipico tipo di ragazza mediterranea, e neppure tedesca o polentona: quelle si tingono di biondo”
“Polentona?”
“Polentoni sono quelli che vengono dal nord: mangiano polenta”. Il ragazzo si mise a ridere: “In effetti tu parli l’italiano bene, ma questo non s’impara sui libri. Piacere, sono Mario: il Suo nuovo insegnante d’italiano parlato”
“Buongiorno, sono Dafne: la Sua studentessa straniera che non la pagherà un cent”
Mario la fulminò con lo sguardo, quasi offeso: “Perché mai dovremmo pensare ai soldi? Non ci ho neppure mai pensato: per me i soldi sono ciò che serve per mangiare e poco più. Ti prego non dirmelo mai più”
Si sentì in colpa, profondamente sbagliata. “Scusa, a quanto pare neanche questo s’impara sui libri”
“Perdonata solo se mi spieghi cosa guardi da mezz’ora così interessata”
“Sì, certo. Guardavo come mai continuiamo ad andare avanti e indietro come se non riuscissimo a parcheggiare il treno nel traghetto” gli rispose con uno sguardo grande ed innocente da bimba.
Mario si mise a ridere in maniera sincera, leggera: “In effetti smontare un treno per ‘parcheggiarlo’ su un treno non è semplice. Vedi: devi innanzitutto infilarlo nel traghetto per tre- quattro vagoni, a seconda di quanti ce ne stanno sul traghetto, poi devi staccare i vagoni, fare retromarcia fino al cambio di binario e metterti sul binario parallelo. Allora potrai tornare a spingere il treno nel vagone e così via. Devi considerare che ogni treno ha circa 15 vagoni e quindi questo lavoro deve essere fatto almeno 5 volte”
Dafne ci pensò: effettivamente non potevano di certo infilare un treno per il lungo nel traghetto!!
Gli sorrise: “grazie!! Io pensavo sbagliassero a centrare i binari!!!”
Si misero a ridere entrambi ripensando a quanto fosse in fondo infantile ma logica quell’idea.
Nel frattempo la lamiera del traghetto scorreva di fronte a loro: finalmente la carrozza era stata montata sulla nave. L’odore di salso e nafta li colpì all’improvviso. Si vede che Mario c’era abituato: non fece nemmeno una smorfia, non un cenno. Dafne invece si sentì colpita alle narici, profondamente e con un senso di nausea improvviso che la fece quasi indietreggiare.
“Se vuoi continuiamo la lezione d’italiano sul ponte, così ci togliamo da questo rumore e da questa puzza” propose Mario, accorgendosi che la pelle della sua vicina aveva perso il colore dorato e s’era improvvisamente sbiancata.
Ella si guardò intorno come a cercare il bagaglio: lo trovò lì dove l’aveva lasciato il giorno prima salendoin cima a quei minimi loculi delle cuccette italiane, stipati d’ogni sorta di borsa e borsetta.
“Non ti preoccupare: qui ci rimane Sergio, l’amico con cui sono sceso da Roma. Con lui qui non possono rubarti nulla”
Sorrise rassicurata: “Allora va bene, andiamo su questo ponte ma spiegami: se c’è il ponte per andare in Sicilia, perché i treni li montano sulla nave?”
Stavolta Mario si mise a ridere di gran gusto, fragorosamente. “Bella questa!! Allora è vero che esiste lo humor inglese!!”
Si sentì spaesata, non capiva nulla di questi italiani. Che aveva detto di tanto comico? A lei sembrava del tutto logico. Lo guardò, cercando nei suoi profondi occhi neri la risposta ai suoi perché.
Egli si fermò d’improvviso, colse lo sguardo e le rispose con uno sguardo altrettanto interrogativo. A quanto pare tra stranieri funziona così: ci si capisce meglio a sguardi, anche se uno dei due conosce la lingua.
“Ma dicevi sul serio? Chi t’ha insegnato l’italiano non è stato molto bravo. Vieni con me che ti faccio la seconda lezione” le prese delicato la mano e la guidò sicuro fuori dal vagone.

martedì 3 giugno 2008

Lampi d'immagine

Quante sono le parole che c'inseguono nella vita?
Quante quelle che ci segnano per poi scorrere nel tempo?
Quante ne vorremmo fermare, scrivere e ricordare?
Poesie che corrono negli attimi fuggenti,
un'immagine che scopre il nostro sguardo,
lo blocca nei particolari che il giorno ignora:
vene di germogli tra i rami,
sbuffi di fiori,sbucano come farfalle nel sole,
brezza intrisa di rugiada e grilli
solletica i pensieri che cedono alla notte,
stelle dispettose sbucano tra nubi e sogni,
abbandonarsi tra le braccia di morfeo
e scoprire il peso delle spalle che si allenta
placido come le onde d'estate,
ritmico e leggero come il respiro del sonno,
vita che nasce nell'attimo in cui si lascia ogni controllo.

giovedì 29 maggio 2008

Tu chiamale, se vuoi.... emozioni

Oggi mi ha scritto un amico caro, che non sentivo da tempo: sapevo che aveva problemi a casa (come d'altro canto da parecchi mesi a questa parte) e non mi sono fatta sentire. Ammetto di essere stata egoista (mi capita spesso) e di non aver pensato a mandargli neppure un messaggio (che in fondo mi sarebbe costato meno di 5 minuti della mia vita) ma ho come scusante che non sono mai riuscita a sopportare come lo trattavano i suoi, non l'ho mai nascosto perché non riesco a mentire, e chiamandolo gli avrei solo creato problemi (so che sembra impossibile ma è così, succede ancora all'alba del 2000).
Oggi il suo sms: rapido, conciso, sofferente e dolce allo stesso tempo. Solo poche parole: "se n'è andato". Sappiamo entrambi chi, sappiamo entrambi come; non c'era bisogno di aggiungere altro: ovvio che sta male, ovvio che ha sofferto e che soffrirà ancora di più nei momenti a venire.
Quello che mi stupisce, e che non è per nulla ovvio, è la mia reazione: mi si è gelato il sangue nelle vene, ho avuto il magone, lo stomaco si è fatto pesante e avrei avuto voglia di piangere e urlare.... ho fatto persino fatica a trovare le parole per mandargli un sms (e chi mi conosce sa che è molto difficile che io non trovi qualche parola carina).
Perché mai, dico io, dovrei reagire così? in fondo era una persona che non conoscevo, che ha fatto male al mio amico più volte, che non stimavo (ed era un fatto noto),...
Non c'è nulla di razionale: non soffro per la perdita, semmai soffro perché una persona che mi è cara sta passando un periodo bruttissimo, ma non ha senso comunque.......
Come posso aiutarlo così? Se soffro io, soffre un po' meno lui? no, non funziona così: in quel caso sarei felice di disperarmi e togliergli un po' di carico dalle spalle. Riesco a capirlo meglio, ad essergli più vicina, a sostenerlo? no, nemmeno questo: penso alla mia disperazione e non ho la più pallida idea del punto da cui partire per lenire il dolore, egoista come sempre....... eppure non riesco a togliermi questo dannato senso di vuoto che vorrei colmare, come se dovessi creare un po' di calore solo per mandarglielo, così che se lo possa tenere vicino quando si sentirà solo, che lo possa abbracciare quando avrà bisogno di stringere forte qualcosa per credere nel futuro.
Vorrei tanto regalargli il tempo che annebbia i dolori e li rende sordi, continui ma accettabili. Vorrei donargli la certezza che non cambierà nulla, che non dimenticherà, che sorriderà sempre nei ricordi, ma non posso fare neppure questo.
Vorrei avere la capacità di chiamarlo ed essere davvero d'aiuto, ma non lo so fare: non ora, non nel momento in cui il dolore fa i conti con la forza dei sentimenti.
Solo una cosa so fare e per fortuna mi riesce ancora abbastanza bene: esserci quando chiamerà, quando avrà bisogno della spalla su cui piangere, e quando i mille conoscenti si saranno dimenticati che la sofferenza non è un gioco di pochi giorni, ma un incubo che ci portiamo dietro negli anni.
Forse un giorno potrò aiutarlo a costruirsi di nuovo i suoi sogni; farò di tutto per averne la forza.
'notte

martedì 27 maggio 2008

Rivederti

Rivederti

I tuoi occhi nei miei,
lo stomaco chiuso, immobile,
blocco il respiro per sentirti mio,
solo un poco ancora,
solo un po' più in fondo,
a colpire l'animo, il pensiero,
prima di correre ancora,
scappare e sfuggire,
lontano dai nostri sguardi, dalle mie mani,
dal sogno svanito di donarti un futuro,
dalle boccacce che sanno di complicità,
innocenza ed esperienza insieme,
bimbi dispettosi e profondamente uniti.
Che mai sarebbe stato?
Cadere nel tuo abbraccio,
e sconvolgere i pensieri,
prima che il cinismo
trasformasse le lacrime in cristalli.
Scopro di avere ancora bisogni,
sapere che da sola non mi basto
fa paura nel brivido della scoperta,
e voglio comunque lottare,
rialzarmi e usare queste mie gambe.
Sorrido pensandoti:
mi sei ancora dentro,
sei in me, nei miei pochi anni,
nelle mie lotte e nei miei pensieri.
Non ho più forze per giocare
scommettere su me stessa,
e tu credi in me senza soste,
senza dubbi o questioni,
sprone dolce come i sorrisi
scoperti di sfuggita di sottecchi,
come quegli abbracci
che ti colmano da dentro,
solletico di due bimbi sui fianchi
dimentichi da anni del tempo che fugge.